Locandina Film L'estate di Kikujiro

L'estate di Kikujiro

(Kikujiro no natsu)

Film

Commedia

Incontro tra un bambino abbandonato dalla madre e un yakuza, un mafioso giapponese, dal cuore d'oro.

diTakeshi Kitano

con Yusuke Sekiguchi, Takeshi Kitano, Kazuko Yoshiyuki, Kayoko Kishimoto.

durata: 121 Min produzione: GIAPP. (1999)

La recensione di FilmTv Di Emanuela Martini - FilmTV n. 50/1999 Takeshi Kitano torna alla grande per raccontare l’odissea di un bambino e del suo singolare compagno di viaggio. Con i toni dolci della commedia Follie di Takeshi Kitano, l’autore cattivo e inventivo che ha rianimato con folgoranti pennellate (“Hana-bi”) e suicidi in primo piano (“Sonatine”), con una violenza che, programmaticamente, sfiora sempre l’autoparodia e risate che paiono ferite che squarciano il volto umano, il cinema giapponese contemporaneo. Amatissimo dal pubblico dell’ultimo festival di Cannes, esce in Italia “L’estate di Kikujiro”, l’ultimo film di Kitano, spiazzante road movie “natalizio”, che descrive il viaggio attraverso il Giappone, durante un’estate calda, di Masao, un bambino alla ricerca della madre, e di uno stravagante ex yakuza un po’ suonato, cui Masao è stato affidato da un’amica della nonna. Con un occhio a “Il monello” di Chaplin (l’ha dichiarato lo stesso Kitano), rivisto attraverso la tradizione moderna di road movie con bambini (per esempio, “Alice nelle città” di Wenders e “Paper Moon” di Bogdanovich), Kitano coniuga il suo straordinario senso cromatico (paesaggi che sembrano tele dipinte e le incredibili camicie hawaiiane dei due protagonisti) con il suo gusto per la comicità demenziale (i due trucidi “Hell’s Angels”, che finiscono per rivelarsi imbranati e giocherelloni, interpretati da due degli attori del gruppo “Takeshi Gundan”, con il quale Kitano lavora nei suoi spettacoli televisivi) e con quella malinconia della violenza e della perdita dell’anima giapponese che sempre serpeggia nei suoi film. La favola, che in fondo non è buona, ma rattristata dall’immagine di una madre che si è rifatta una vita “regolare” (come non ricordare Peter che in “Peter Pan nei giardini di Kensington” torna a casa e trova le inferriate alle finestre e la mamma con un nuovo bambino, appena nato?), concilia, almeno, sulla possibilità di solidarietà tra personaggi che, all’apparenza, non dovrebbero aver niente da spartire. Formalmente accecante, è capace di meraviglie visive con le suggestioni e i lampi generati dall’inconscio infantile e da quello, bizzarro, di un adulto che vive oltre la soglia dell’eccentricità.

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