Locandina CONCERTO Live at the royal festival hall of london

Live at the royal festival hall of london

(Dizzy Gillespie and the United Nations Orchestra - Live at the royal festival hall of london )

CONCERTO

MUSICA

DIZZY IL MAGNIFICO1

diDizzy Gillespie

conDizzy Gillespie and the United Nations Orchestra

durata: 90 min. produzione: ING (1985)

"Mondiale!" si usa dire dalle mie parti per apprezzare con entusiasmo l'eccellente qualità di una certa cosa, specie se mangereccia: una finocchiona mondiale, una porchetta mondiale, ecc. Come tutti i modi di dire un po' originali, è ormai quasi soppiantato dal banale e abusato "mitico", per non parlare del cafone e invadente "graaaande!", con "a" ad libitum. Però resiste, e sono ben lieto di poterlo usare per introdurre un concerto come quello che Dizzy Gillespie tirò fuori alla veneranda età di 72 anni. Mondiale, anzi doppiamente mondiale: non solo per il livello qualitativo, ma anche come perfetto esempio di contaminazione tra il jazz e la "world music", o musica etnica. Non pensiamo ad una estemporanea e senile passione per questa musica: questo live del 1989 non è altro che il naturale compimento di un percorso coerente iniziato addirittura negli anni '40, quando il grande trombettista seppe ritagliarsi uno spazio tutto suo nell'ambito della rivoluzione nota come "bebop", vivacizzando le già funamboliche composizioni dei "beboppers" con l'apporto di ritmi "esotici", latini e afro-cubani. Nel 1988 l'arzillo Dizzy, invece di cullarsi sugli allori dei suoi classici anni '40 e '50, si imbarcò in un progetto ambizioso, raccogliendo intorno a sé un gran numero di ottimi musicisti, in parte neri americani, in parte di varie nazionalità dell'America Latina. Più che la consueta band, una vera e propria orchestra, che prese il nome di United Nation Orchestra e partì subito per un tour, naturalmente internazionale, di cui questo live londinese rappresenta la preziosa testimonianza. Se da un lato Dizzy Gillespie impressiona per come alla sua età sa ancora lasciare il segno con le note potenti e graffianti della sua inconfondibile tromba ricurva all'insù, dall'altro tutti i componenti dell'orchestra meriterebbero di essere citati per il loro puntuale e prezioso contributo, ma la lista non finirebbe mai. Vediamoli quindi mettersi in evidenza brano per brano, a partire da "Tin Tin Deo", classico jazz afro-cubano introdotto e sostenuto dalle calde percussioni di Airto Moreira e di "Maneguito" Hidalgo, con il tema che nasce dalla tromba di Gillespie un po' indistinto, quasi come il mugolio di un bimbo, per farsi via via più netto e chiaro e poi sfociare in scoppiettanti raffiche di note. Con l'entrata del sax alto di Paquito D'Rivera il ritmo subisce una forte accelerazione, le percussioni e la batteria di Ignacio Berroa martellano come si deve e aprono la strada al delizioso assolo dei due tromboni di Slide Hampton e Steve Turre (trombone basso), quasi un amichevole scambio di barriti tra due elefanti, un bel tocco di colore africano. "Seresta/Samba For Carmen" sono due brani ben distinti. La tristezza senza confini di "Seresta" ricorda più il classico brasiliano "Manha do Carnival" che la tradizione andina, da cui invece proviene. Suonato magistralmente da Paquito D'Rivera, stavolta al clarinetto, e dal pianista panamense Danilo Perez, crea un clima teneramente malinconico, più cameristico che jazz. Ma una potente entrata della sezione ritmica spezza questo incantesimo, introducendo il festoso e sfrenato "Samba For Carmen". Notevole, tra i vorticosi assoli, quello del trombettista brasiliano Claudio Roditi. "And Then She Stopped" vede di nuovo il vecchio maestro nelle vesti di incantatore, con un assolo eccezionale non solo per pulizia, ma anche per lunghezza, sostenuto da un piacevole ritmo caraibico, non troppo mosso. Limpido anche l'intervento del piano di Danilo Perez. In "Tanga" furoreggia la grande Flora Purim con i suoi acrobatici vocalizzi stile Ella Fitzgerald: un vero strumento aggiunto ad un'orchestra già ricchissima. Il ritmo scatenato sostiene poi vari assoli: impressionanti quello fragoroso del batterista Ignacio Berroa e quello, più tribale, dei fenomenali percussionisti Moreira e Hidalgo. In "Kush" la ribalta tocca ad un fedelissimo delle antiche band di Gillespie, James Moody. La sua introduzione per flauto unisce suggestioni andine a reminiscenze di Debussy, ed è senz'altro tra i momenti magici del disco. Inutile dirlo, ma lucido e ineccepibile anche il successivo assolo del vecchio Gillespie, che non conosce la fatica. "Dizzy Shells" è uno show personale del trombonista Steve Turre, che qui si diletta a trarre incredibili suoni da autentiche conchiglie marine di varie misure, da solo o appena sostenuto dalle percussioni. Nel finale anche il resto dell'orchestra si unisce in una festosa danza caraibica. Siccome anche questo concerto purtroppo deve finire, il miglior modo di chiuderlo è il classico gillespiano per eccellenza: "A Night In Tunisia", composizione degli anni '40, ma che già conteneva in sé le basi per sviluppi e variazioni di grande modernità, come dimostra questa sontuosa versione di ben 18 minuti. La partenza è molto più guardinga rispetto alle versioni dell'epoca, ma in seguito c'è spazio per svariati cambi di ritmo, mai comunque tali da stravolgere il misterioso fascino esotico di questo standard del jazz. Sono più che altro i fiati a scatenarsi in assoli fantasiosi, a partire dal vecchio leader per finire agli altri trombettisti Arturo Sandoval e Claudio Roditi, e a James Moody, qui in veste di sassofonista. Anche il bassista John Lee, finora ottimo ma defilato accompagnatore, si concede finalmente un exploit. L'enorme durata è dovuta ad un'estesa sezione finale in cui, proprio come in un concerto classico, l'orchestra tace e i principali solisti escono allo scoperto da soli con vere e proprie "cadenze". E' superfluo dire che questi saggi di bravura sono assolutamente da brivido. La fine del concerto, anche se siamo solo in poltrona, lascia un irresistibile prurito alle mani, che scompare solo unendosi al grande applauso finale del fortunato pubblico del Royal Festival Hall di Londra.

Recensione da:

DEBASER.IT